L'INIZIO DELL'INDAGINE
SUL MONDO SCIAMANICO

Citazione di Carlos Castaneda dal Libro
GLI INSEGNAMENTI DI DON JUAN

 

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NOTA DI CARLOS CASTANEDA IN OCCASIONE DEL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DI PUBBLICAZIONE DI "GLI INSEGNAMENTI DI DON JUAN"

PARTE 1

GLI ELEMENTI CHE PORTARONO CARLOS CASTANEDA A INIZIARE L'INDAGINE SUL MONDO SCIAMANICO

«Gli Insegnamenti di don Juan fu pubblicato per la prima volta nel 1968. In occasione del trentesimo anniversario di pubblicazione, desidero fornire qualche chiarimento sull'opera stessa e riassumere alcune conclusioni generali sul tema del libro, conclusioni alle quali sono giunto dopo anni di serio e costante lavoro. Il libro è il risultato di una ricerca antropologica svolta direttamente sul campo che ho condotto in Arizona e nello stato di Sonora, in Messico. Mentre preparavo la tesi alla facoltà di antropologia dell'Università della California, a Los Angeles, mi imbattei in un vecchio sciamano, un indiano Yaqui originario dello stato messicano di Sonora. Si chiamava Juan Matus.

Discussi con diversi professori della Facoltà di Antropologia la possibilità di condurre una ricerca antropologica sul campo, servendomi del vecchio Sciamano come principale fonte. Tutti i professori che consultai cercarono di dissuadermi, convinti che prima di pensare a intraprendere una ricerca sul campo dovevo dedicarmi, in generale, al bagaglio richiesto di materie accademiche, e quindi alle formalità della tesi, come gli esami scritti e orali. Quei professori avevano assolutamente ragione. Non fu necessario alcuno sforzo di persuasione da parte loro perché io comprendessi la logica del loro consiglio.

Uno di loro, il professor Clement Meighan, tuttavia, incoraggiò apertamente il mio interesse per la ricerca sul campo. E' lui che devo ringraziare per avermi spinto a intraprendere la ricerca antropologica. Fu l'unico a incitarmi a sfruttare fino in fondo la possibilità che avevo davanti. Il suo incoraggiamento derivava dalle sue esperienze personali condotte direttamente sul campo in qualità di archeologo. Mi disse che il suo lavoro gli aveva fatto capire che il tempo è di vitale importanza, e che ne era rimasto poco prima che le enormi e complesse aree di conoscenza elaborate dalle culture in via di estinzione andassero perdute per sempre, a causa dell'impatto con la tecnologia moderna e con le sollecitazioni della filosofia. Mi fornì come esempio il lavoro di alcuni affermati antropologi attivi tra la fine dell'800 e la prima parte del ventesimo secolo, i quali, in brevissimo tempo ma con il maggiore rigore metodologico possibile, raccolsero dati etnografici sulle culture degli indiani d'America delle pianure e della California. La loro fretta era giustificabile, perché nel corso di una sola generazione le fonti su gran parte di quelle culture indigene scomparvero, soprattutto tra le culture indiane della California.

Mentre accadeva tutto ciò, ebbi la fortuna di seguire le lezioni del professor Harold Garfinkel della Facoltà di Sociologia dell'UCLA. Egli mi fornì uno straordinario modello di metodologia etnologica, in base al quale le azioni pratiche della vita quotidiana sono un oggetto bona fide per la speculazione filosofica e ogni fenomeno analizzato deve essere esaminato per se stesso e in base a regole e concordanze proprie. Se c'erano leggi o prescrizioni da estrapolare, esse avrebbero dovuto essere adeguate al fenomeno stesso. Di conseguenza, le azioni pratiche degli Sciamani, viste come sistema coerente dotato di regole e configurazioni proprie, costituivano un oggetto valido per un'indagine seria. Questa indagine non doveva essere soggetta a teorie costituite a priori o a confronti con i dati materiali ottenuti sotto gli auspici di un diverso assunto filosofico. Influenzato da questi due professori, mi immersi nel mio lavoro antropologico sul campo. Le due forze che mi guidavano, derivate dal contatto con quei due uomini, erano la consapevolezza del poco tempo rimasto prima che i processi cognitivi delle culture americane indigene venissero cancellati nella confusione della tecnologia moderna, e la convinzione che il fenomeno da osservare, di qualunque cosa si fosse trattato, costituiva un oggetto d'indagine bona fide e meritava quindi tutta la mia attenzione e serietà. Mi lasciai coinvolgere a tal punto dalle mie ricerche che, alla fine, sono certo di aver deluso proprio le persone che mi avevano tanto incoraggiato.

Mi ritrovai in un campo che era terra di nessuno. Non era materia antropologica, né sociologica, né filosofica, e neppure religiosa. Avevo seguito le regole e le configurazioni del sistema che stavo studiando, ma non ero in grado di approdare in un luogo sicuro. Allora misi a repentaglio tutto il mio lavoro abbandonando gli opportuni criteri accademici per provarne il valore o, al contrario, la sua mancanza di validità.» (Carlos Castaneda)

CONTINUA PARTE 2

 

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