IL CONCETTO DI COGNIZIONE
SECONDO GLI SCIAMANI TOLTECHI

Citazione di Carlos Castaneda dal Libro
GLI INSEGNAMENTI DI DON JUAN

 

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NOTA DI CARLOS CASTANEDA IN OCCASIONE DEL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DI PUBBLICAZIONE DI "GLI INSEGNAMENTI DI DON JUAN"

PARTE 2

IL CONCETTO DI COGNIZIONE SECONDO GLI SCIAMANI TOLTECHI

«Se dovessi dare una descrizione sintetica di quello che feci nella mia ricerca sul campo direi che lo Sciamano indiano Yaqui, don Juan Matus, mi trasmise l'universo conoscitivo degli Sciamani dell'antico Messico che chiamava Cognizione. Con questo termine si intendono i processi che governano la consapevolezza della vita di tutti i giorni, processi che comprendono la memoria, l'esperienza, la percezione e l'uso competente di qualsivoglia sintassi. All'epoca, il concetto di cognizione rappresentava l'ostacolo maggiore. Per un occidentale istruito come me era inconcepibile pensare che la cognizione, quale è definita nella speculazione filosofica moderna, fosse qualcosa di diverso da un processo omogeneo e onnicomprensivo, valido per tutta l'umanità.

L'uomo occidentale è disposto ad ammettere differenze culturali che spieghino modi curiosi di descrivere i fenomeni, ma le differenze culturali non potrebbero mai giustificare l'esistenza di processi legati alla memoria, all'esperienza, alla percezione e all'uso competente della lingua diversi da quelli che conosciamo. In altre parole, per l'uomo occidentale esiste la cognizione solo come insieme di processi generali. Per gli Sciamani della stirpe di don Juan, invece, c'è la cognizione dell'uomo moderno e la cognizione degli Sciamani dell'antico Messico. Per don Juan si trattava di interi universi di vita quotidiana intrinsecamente diversi l'uno dall'altro. A un certo punto, a mia insaputa, il mio compito passò misteriosamente dalla semplice raccolta di dati antropologici all'interiorizzazione dei nuovi processi cognitivi del mondo Sciamanico. Un'interiorizzazione genuina di questi assunti implica una trasformazione, un rapporto diverso con il mondo di tutti i giorni.

Gli Sciamani scoprirono che l'impulso iniziale per questa trasformazione è sempre una forma di devozione intellettuale a qualcosa che sembra un semplice concetto ma, inaspettatamente, presenta potenti correnti sotterranee. Le parole di don Juan spiegano meglio questo cambiamento: «II mondo di tutti i giorni non può più essere considerato qualcosa di personale, che esercita un potere su di noi, che può crearci o distruggerci, perché il campo di battaglia dell'uomo non è la lotta con il mondo circostante. Il suo campo di battaglia si trova al di là dell'orizzonte, in una regione inimmaginabile per la maggior parte degli uomini, una regione dove l'uomo cessa di essere uomo». Don Juan spiegò queste affermazioni dicendo che, dal punto di vista energetico, era indispensabile che gli uomini iniziassero a comprendere che l'unica cosa che conta è il loro incontro con l'Infinito.

Non riuscì a fornire una descrizione più semplice del termine Infinito. Disse che era energeticamente irriducibile. Non si poteva ricorrere a una metafora per spiegarlo, né si poteva farvi riferimento se non con termini vaghi come Infinito, «lo infinito». In quel momento avrei anche potuto credere che don Juan mi stesse dando solo un'intrigante descrizione intellettuale; stava descrivendo ciò che chiamava un fatto energetico. Per lui i fatti energetici erano le conclusioni alle quali egli stesso e gli altri Sciamani della sua stirpe erano giunti quando avevano acquisito una funzione che chiamavano vedere: l'atto di percepire direttamente l'energia che fluisce nell'universo.

Questa capacità è uno dei punti culminanti dello Sciamanismo. A sentire don Juan Matus, il compito di farmi entrare nell'universo conoscitivo degli Sciamani dell'antico Messico fu svolto in modo tradizionale: fece con me quello che era stato fatto con qualsiasi iniziato allo Sciamanismo nel corso dei secoli. L'interiorizzazione dei processi di un sistema cognitivo diverso iniziava sempre focalizzando l'attenzione degli iniziati sulla presa di coscienza della nostra condizione di esseri avviati verso la morte. Don Juan e gli altri Sciamani della sua stirpe erano convinti che la piena consapevolezza di questo fatto energetico, di questa verità irriducibile, avrebbe portato all'accettazione della nuova cognizione. Il risultato finale che gli Sciamani come don Juan volevano far raggiungere ai loro discepoli era una consapevolezza che, proprio per la sua semplicità, è molto difficile da ottenere: la consapevolezza che siamo esseri destinati a morire. Di conseguenza, la vera battaglia dell'uomo non è quella che combatte con i suoi simili, ma con l'Infinito, e non si può neppure parlare di una battaglia; si tratta, sostanzialmente, di un'accettazione. Dobbiamo accettare volontariamente l'Infinito. Nella descrizione degli stregoni, le nostre vite hanno origine nell'Infinito e terminano dove hanno avuto origine: nell'Infinito.» (Carlos Castaneda)

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